E se ci fosse un altro modo di pensare al precampionato?

BEPPE TEDESCO

In vista della Nuova stagione ognuno di Noi comincia a pensare a cosa proporre e come , alla programmazione della ripresa dell’attività e probabilmente a chiedersi se quanto fatto nel passato sia stato giusto, efficace e soprattutto riproponibile.

Noi allenatori siamo normalmente molto curiosi, abbiamo sempre ansia di imparare ,di scoprire qualcosa che ancora non conosciamo e quindi di andare alla ricerca di libri, di articoli, di interviste, magari di fare qualche esperienza con altri allenatori anche di altri sport.

Credo però che questo sia proprio il periodo dell’anno in cui in tutti noi, con maggiore ardore, forse a causa dal tempo a disposizione, visto che diminuiscono gli impegni sul campo e di osservazione delle partite, pensiamo in generale alla “preparazione”, e almeno per quanto mi riguarda inizia il momento in cui mi domando se davvero non si possa andare oltre quelli che seppure non sono i classici canoni della preparazione atletica così come all’inizio dei nostri corsi ci è stata proposta, sono comunque “fondamenti” sedimentati nel tempo e per così dire boe di salvataggio per non mettere sempre e tutto in discussione .

Devo premettere che proprio questa curiosità innata da allenatore già tantissimi anni fa, stiamo parlando dell’inizio degli anni 80, mi ha portato a riflettere su alcune considerazioni fatte da Jon Tiriac (campione di tennis e poi allenatore) sulla preparazione dei tennisti italiani, e soprattutto su una sua domanda “ ma devono partecipare alla maratona di New York o giocare a tennis?”.

Da quel momento ho sempre pensato, mano mano rafforzando il mio pensiero con altre letture e con le grandi opportunità che ho avuto dalla mia esperienza di allenatore di pallamano di poter incontrare assoluti luminari della scienza dell’allenamento come il Prof. Carmelo Bosco ed i Suoi allievi , primo fra tutti Marco Cardinale, che non potevamo intorno agli anni 2000, continuare a seguire le indicazioni , frutto sì di importanti studi e ricerche, ma risalenti agli anni ’50.

La cosa che mi balzava immediatamente in mente era la enorme diversità fra lo sport di squadra, Sport situazionale e l’Atletica leggera, disciplina da cui tutta la letteratura scientifica relativa alla preparazione proveniva , e ancora il fatto che nell’atletica le occasioni in cui gareggiare ad alto livello erano due o tre all’anno e negli sport con la palla i campionati occupavano 7/8 mesi all’anno.

Mi sono orientato, a partire da subito, quindi a cercare di preparare la squadra e i giocatori per la partita di pallamano, cercando di inserire il gioco immediatamente alla ripresa degli allenamenti e facendo convivere le esigenze fisiche con quelle tecnico tattiche, acquisendo , anche questo immediatamente, la consapevolezza che non potessero bastare 5/6 settimane di lavoro precampionato per supportare una stagione fatta di 7/8 mesi di impegni agonistici.

Nonostante queste idee e questi propositi, comunque la tendenza a fare qualcosa di staccato dal gioco , seppure in sedute in cui la palla è presente, quella di considerare la prima parte della stagione come qualcosa di staccato dalla stagione agonistica, è rimasta, perché ad abbandonare concetti che sembrano scritti a fuoco e che tutti rispettano , si fa sempre fatica così come ad abbandonare i porti sicuri.

Penso ed è un input che cerco di dare a me stesso che non dobbiamo avere paura di provare ad imboccare una strada nuova e che quindi dobbiamo seriamente considerare cosa sia lo sport che alleniamo e chi come i Nostri atleti devono essere pronti a praticarlo.

Le considerazioni che quindi è opportuno fare riguardano l’atleta che gioca a pallamano , cioè un cosiddetto gioco sportivo e quindi un gioco di situazione.

L’atleta giocatore di uno sport situazionale deve primariamente risolvere i problemi che si manifestano durante la partita, deve quindi capire il gioco, riconoscendo sia azioni dei propri compagni che quelle degli avversari, deve essere quindi un giocatore “intelligente”. E’ necessario considerare il giocatore come un’unità psico-fisica , e sapere che non può bastare la sola capacità fisica, o la sola capacità tecnico-tattica, o la sola intelligenza di gioco per essere un grande giocatore.

Dobbiamo cercare di abbandonare l’idea che l’atleta sia solo un assemblamento di serbatoi fisiologici che noi allenatori, attraverso il lavoro, particolarmente nel precampionato, dobbiamo riempire (serbatoio aerobico, lattacido, alattacido).

Perché non ragionare su come il precampionato non possa essere invece il periodo in cui si incominci a sottoporre il giocatore e di conseguenza la squadra agli stimoli complessi (psicofisici) che sono necessari per affrontare il gioco, e quindi non solo atletici ma anche tecnico-tattici.

Probabilmente diminuire il lavoro generale in favore del cosiddetto lavoro speciale (quello molto molto vicino al gioco) dovrebbe essere l’orientamento a cui tendere, perché solo così facendo si andrebbero a sollecitare gli elementi che sono fondamentali per la prestazione negli sport di squadra, che non sono solo quelli fisiologici , ma una combinazione al cui interno fattori tecnico-tattici, psicologici e fisici interagiscono fra loro.

Come scritto da Ferrante, coautore con Mattiaccia e Saporetti, del libro “La pianificazione strutturata per gli Sport di Squadra” edito da Calzetti e Mariucci “ E’ necessario sottolineare che allenare la forza o la resistenza al di fuori di un ambito che preveda una gestualità tecnico-tattica mirata, è solo una perdita di tempo che non trova alcun riscontro operativo in gara”.

Ecco ho riportato quanto scritto sopra perché da parte mia questa convinzione è sempre esistita, cioè che davvero noi allenatori che reclamiamo sempre tempo per allenare molte volte questo tempo lo “buttiamo” ( volontariamente o inconsapevolmente) insistendo su alcuni aspetti che davvero poco hanno a che fare con quello che i Nostri giocatori dovranno riuscire a svolgere sul campo contro gli avversari.

Come già ho detto ho avuto la fortuna negli anni dedicati alla pallamano di lavorare e cercare di imparare da grandi dello Sport, uno fra questi , Allenatore Campione del Mondo e Campione Olimpico, Lino Cervar, mi ha detto: “Quando vedi che un allenatore di pallamano sta tanto sul campo di atletica e non sul campo 40 x 20, sta certo che non vuole fare la fatica che bisogna fare per pensare ad allenare la pallamano”.

Vero, pensare all’allenamento è faticoso, mettersi sempre in discussione altrettanto faticoso, ma credo che per definirsi e considerarsi allenatori di uno sport di squadra come il nostro abbiamo la necessità di fare fatica ogni giorno per provare a trovare le strade ideali per migliorare i nostri giocatori e di conseguenza le nostre squadre.