Apprendere a giocare per strada

Passare dal gioco allo sport in maniera progressiva.

La formazione sistematica di giovani atleti non è una questione che si va a sviluppare in forma omogenea nei distinti sport. Ci sono sport che hanno un’esperienza accumulata di molti anni e sono riusciti a stabilire una sistematica che, nelle loro linee basiche, è accettata per la maggior parte e non offre alternative molto differenti.

Sono in generale sport chiusi, individuali e di rendimento relativamente prematuro; potrei citare come esempio la ginnastica e il nuoto.

L’interesse che suscita l’Alto Rendimento ha provocato che tutti gli sport si pianifichino la necessità della formazione di individui ogni volta più giovani e ha proliferato l’apparizione di Scuole Sportive. Il modello d’accesso allo sport dei nostri bambini è variato radicalmente in molti casi.

Parallelamente, si sono sviluppate teorie sull’iniziazione e l’insegnamento sportivo che, in alcuni casi, si allontanano significativamente da quello che era stato tradizionalmente fino a poche decadi fa.

Non ho dati per fare una valutazione globale di quello che accade in tutto il panorama sportivo del nostro paese, ma mi piacerebbe un commento soggettivo di quello che passa nel mio sport – la pallamano – e che talvolta sia estensibile agli sport di squadra di natura simile:

Desideriamo essere buoni allenatori/educatori e programmiamo il processo di formazione in forma dettagliata, stabilendo differenti tappe, nelle quali definiamo obiettivi, contenuti, forme di lavoro e valutazione… infine, non ci sfugge il dettaglio.

Tuttavia, quando nelle conversazioni da caffè parliamo di giocatori geniali, ci rimettiamo sempre a quelli che “appresero a giocare per strada” e, se citiamo i nostri giocatori, parliamo molto di più delle loro difficoltà e dei difetti, che delle loro potenzialità e dei risultati.

Questo mi fa pensare a una specie di frustrazione, generalizzata, ad una differenza traumatica tra quello che ci proponiamo e la percezione di quello che raggiugiamo.

Da dove proviene questa sensazione sottile e incosciente – ma estesa – di successo?

Mi piacerebbe segnalare alcuni disadattamenti frequenti nella pianificazione di molte Scuole di Pallamano:

  • L’ansia di “farlo bene” ci porta a che ci fissiamo in “sport di più tradizione scientifica” e copiamo modelli di lavoro, senza rendersi conto cha la maggior parte di questi sport che imitiamo sono sport chiusi, di natura molto differente a quella che pretendiamo insegnare; dove tutto è controllato, il processo decisionale non influenza decisivamente il risultato, la tecnica cerca il “movimento ottimo” e i sistemi di lavoro si basano sulla ripetizione di questi movimenti.

Nella Pallamano, e sport similari, l’intenzionalità, la capacità di intercetto e di adattamento condizionano decisivamente il risultato, e questo deve essere basico al momento di determinare contenuti e forme di lavoro.

L’imitazione non basta.

  • I giochi collettivi sono sport di natura “sociale”, e sarebbe conveniente che s’iniziassero a praticare nel momento evolutivo dove i bambini, in forma naturale e non indotta, abbordino la “Tappa Sociale”, nella quale il desiderio di muoversi in gruppo con attività che suppongano cooperazione e opposizione appare in maniera spontanea. Questo solitamene non succede prima dei nove o dieci anni, tuttavia, in molte occasioni l’iniziamo a formare per giocare in squadra molto prima.
  • Un bambino non è “un adulto più basso”. Le sue caratteristiche fisiche, motorie, intellettive ed emozionali sono molto differenti a quelle dei più grandi. In realtà, non è facile che possano sviluppare un gioco similare a quello che fanno i giocatori di quattro cinque anni in più.

Tuttavia, partiamo da un’analisi del gioco dei più grandi per determinare il contenuto di quello che andiamo a proporgli.

Potrei riassumerlo dicendo che ci prendiamo il controllo del “loro gioco” e li portiamo direttamente al “nostro sport”.

Foto: www.lne.es

Questo è, per me, l’errore fatale che provoca questa frustrazione latente che percepisco in molti degli allenatori e responsabili della direzione delle scuole sportive d’iniziazione alla pallamano e sport similari.

All’inizio, la pallamano, deve essere un gioco molto semplice che, senza perdere la sua struttura globale, si adatta alle capacità di quelli che iniziano. Quello fondamentale all’inizio è che giochino e godano del gioco, senza doversi sottomettere alle esigenze troppo complesse, tanto di carattere intenzionale come strettamente meccaniche.

Bisogna avere pazienza per trasformare questa esperienza di divertimento attraverso il gioco in una sfida di perfezionamento graduale, dove l’allenamento andrà apparendo più come una necessità che come un’imposizione.

Senza dimenticare che nessuno diventa buono attraverso errori successivi, che farli progredire proponendogli gradini che possono superare, e che li portino a crescere con la sensazione del successo, è fondamentale, negli sport dove gli aspetti emozionali sono più decisivi di quello che a prima vista appaiono.

C’è un’idea tattica che le tecniche d’esecuzione si allenano, ma la presa di decisione dipende quasi esclusivamente dall’intelligenza innata dell’individuo.

Permettetemi che mi ribelli contro questa idea, non espressa ma predominante.

Sono fermamente convinto che tutto il mondo può migliorare molto negli aspetti tattici individuali, con allenamenti semplici, se la pianificazione è quella adeguata. La gente creativa appare in ambienti creativi.

Allo stesso modo, nessun dubbio che, praticamente qualsiasi essere umano può apprendere a scrivere, e redigere correttamente, se lo si educa in forma appropriata, io non dubito che qualsiasi bambino può arrivare a giocare intelligentemente questi sport se li s’allena in forma corretta. Altra cosa è raggiungere l’eccellenza.

È evidente che i bambini che s’avvicinano a uno sport lo fanno cercando di emulare i loro idoli, di somigliare ai più grandi. Ma non è, né più né meno, quello che succede in altri giochi, di principi e principesse, di polizia e ladri o di qualsiasi cosa che la loro immaginazione gli faccia passare per la testa.

Siamo intelligenti e rispettiamo la loro necessità e la loro iniziativa di giocare, proponiamogli un gioco semplice e divertente lasciando che questi, e non noi, siano i protagonisti dell’attività, esattamente come fanno loro da soli nel cortile di un collegio o in strada.

La nostra apparizione come “allenatori” deve essere progressiva e non invasiva. Il loro desiderio di migliorare farà tutto il resto, e ci saremo, per non deludere le loro aspettative.

Il passo dal gioco allo sport si deve fare a poco a poco, in forma praticamente inavvertita per loro.

Non possiamo pretendere che tutti arrivino a scrivere “Il Don Chisciotte”, ma si che alla fine possano scrivere una lettera ad amico qualsiasi… e che si capisca quello che mettono su.