Premessa
Scrivere una premessa, seppur breve, a un articolo del Prof. Manolo Laguna ha sempre il rischio di andare fuori tema o peggio di non interpretare al meglio ciò che desidera comunicarci.
L’idea di condividere questo articolo nasce dalla mia inquietudine su un aspetto del gioco d’attacco posizionale e nello specifico l’unità 2 contro 2 (allenato moltissimo questa stagione agonistica con la mia squadra!) che, se ben giocato, offre differenti e molteplici possibilità. Così uno scambio di messaggi mi porta a rileggere un articolo (rivisto) che il prof. Manolo Laguna ha scritto circa 20 anni fa e nel quale ci offre una sua visione sull’argomento, differente da quella tradizionale. Don Manolo ci pone di fronte al fatto che la pallamano è uno sport che richiede una continua PRESA DI DECISIONE, per risolvere una situazione nel miglior modo possibile in relazione agli obiettivi (che in funzione della situazione sono di un tipo per l’attaccante e differente tipo per il difensore), da prendere sotto pressione e in continua INCERTEZZA.
La PRESA DI DECISIONE in quanto tale va insegnata e allenata tenendo conto dei tanti dettagli ai quali spesso noi (IO) allenatori non pensiamo e che invece rivestono un’importanza fondamentale, come insegnare a osservare.
Rileggendo l’articolo mi è venuta in mente una frase dell’indimenticato campione di calcio Jorge Valdano: “L’abilità senza intelligenza è una virtù senza obiettivi”.
Questo deve indurci ad insegnare gli sport di invasione, di collaborazione e opposizione come la pallamano, indirizzando gli atleti a risolvere i problemi.
La soluzione è prevalentemente TATTICA! Ragione per la quale insegnare abilità tecniche decontestualizzate dal gioco insegna poco agli atleti sul gioco stesso.
È fondamentale fare in modo che gli atleti siano capaci di collegare queste abilità tecniche a una determinata situazione di gioco. E questo è compito nostro, degli allenatori!
Gli atleti necessitano della giusta consapevolezza tattica, fondamentale per la loro prestazione, ossia della capacità di identificare un problema durante il gioco e adeguare la propria condotta alle circostanze in ogni momento del gioco.
Per chiarire ciò che ho scritto sopra prendo ad esempio la selezione femminile della Norvegia, vincitrice dell’ultimo Campionato d’Europa. Le differenze con le altre nazionali non si sono basate su come hanno giocato in attacco; le azioni scatenanti a piccoli gruppi (2c2) a mio personale parere non contenevano nulla di insolito, ma la loro efficacia nel gioco 1c1, la qualità dei passaggi (e Manolo ci spiega cosa intende lui per passaggio di qualità…), la capacità di creare pericolo e la varietà nei movimenti permette alle norvegesi di implementare i principi basici del gioco offensivo posizionale.
Due su tutti, il giusto equilibrio tra larghezza e profondità e sapersi muovere nella battaglia per la conquista della corretta distanza dalla difesa (anche qui il Prof. ci dirà la sua) per procurarsi buone situazioni di tiro.
Colui che non è buono in questa lotta non è PERICOLOSO!
Adesso non mi resta che dire GRAZIE a Manolo per la disponibilità a condividere con noi le sue idee e augurarvi buona lettura della prima parte dell’articolo “Giocare e far giocare”!
GIOCARE E FAR GIOCARE
La formazione del giocatore per l’attacco posizionale
Prof. Manuel LAGUNA ELZAURDIA
Iniziai a diventare allenatore sognando “I Grandi Maestri Rumeni” ed in questo continuo. Devo chiarire per chi non mi conosce che sono un allenatore di “Cortile di Scuola”. Mi misi in questo, essendo molto giovane e senza pensarlo, solo per aiutare il mio allenatore di allora che era professore di Educazione Fisica di una scuola e voleva che i suoi alunni praticassero la pallamano. Poiché erano molti, aveva bisogno di volontari tra i giocatori della squadra che facessero da allenatori dei bambini.
Così, con tutta l’audacia del mondo, senza sapere molto bene perché e senza avere la benché minima formazione come allenatore affrontai un gruppo di bambini ed incominciai a preoccuparmi di insegnar loro a giocare a Pallamano. Quindi l’interesse per questa attività mi portò a perseverare e mi iscrissi a tutti i corsi, congressi e clinics per allenatori che mi erano capitati a tiro. Ed io non ero solo, eravamo vari amici ai quali ci donarono contemporaneamente la febbre e la pallamano si trasformò nel centro delle nostre vite. Dove si organizzava qualcosa di pallamano lì stavamo.
Cominciava la decade dei ‘70 e per allora il livello internazionale delle squadre spagnole non era molto considerato, pensare di vincere contro squadre di prima fascia era un’utopia e pensare di conquistare un Campionato del Mondo o una Coppa d’Europa completamente un sogno. Siccome sognare è gratis, io sognavo che qualche volta la Spagna sarebbe arrivata al massimo, e nei miei sogni c’era la Squadra Nazionale che stava sollevando la Coppa di Campioni del Mondo con Bárcenas a salutare con le lacrime agli occhi. Perché in questo momento non potevo immaginarmi un’altra persona che non fosse Xomin (soprannome di Bárcenas) di fronte alla Squadra! A quell’epoca era difficile ottenere informazione per migliorare come allenatore, solo pochi avevano la possibilità di assistere ai grandi eventi, sia competitivi sia di formazione, e dopo s’incaricavano di diffondere quello che avevano studiato o le conclusioni che avevano tirato fuori dall’osservazione dei migliori. Non c’erano allora agevolazioni per viaggiare, ed uscire dalla Spagna non era tanto abituale come ora. Non c’erano neanche video né cose simili, per quello che se non eri presente alle grandi competizioni dovevi accontentarti di giocare con l’immaginazione per dare forma a quello che ti raccontavano.
Da lì vengono i miei sogni, e credo anche quelli di molti della mia generazione, con “I Grandi Maestri Rumeni”, che allora avevano già conquistato tre Campionati del Mondo. Dobbiamo ringraziare per la grande capacità che ebbe Bárcenas a raccontare le cose stregandoci, questa espressione di “I Grandi maestri Rumeni” mi colpì nel sentirgliela dire. Tutto, raccontato da lui, era attraente e quasi magico. Imparavamo i nomi dei giocatori e degli allenatori di quei paesi a memoria – alla fine non era la sola Romania, c’erano “La D.D.R”, “l’U.R.S.S”, Jugoslavia… – come fanno i bambini con i giocatori della loro Squadra di Calcio.
E nei clinics, quando portavano Ghermanescu, Anatoli Evtushenko o qualunque altro mostro della panchina eravamo disposti a credere a quello che ci dicevano senza porre la minima obiezione. Loro erano quelli che allenavano i grandi e noi volevamo solo somigliargli un pochino, niente da discutere su quello che dicevano. I miei primi anni come allenatore si basarono più sull’imitazione che sulla riflessione; a poco a poco cominciai a pormi delle domande, e cercando le risposte apparvero ancora più domande, come in un nastro senza fine al quale tuttavia non sono stato capace di sottomettermi. Ma rimase sempre in me un’idea addormentata, quasi un’ossessione: apprendere da “gli altri”, una specie di complesso. Così passò il tempo, tra sogni utopici e la dura realtà del giorno per giorno sul campo, con tutte le grandezze e miserie che questo contrasto suppone, e nella primavera di 2005 mi svegliai. Ero a Lisbona, per assistere ad un congresso di allenatori e Torben Whinter – Selezionatore della Danimarca – esponeva le sue idee sulla pallamano del futuro, si appoggiava, com’è comune attualmente, ad un mucchio di sequenze di video estratte dal Mondiale di Tunisi. Il protagonista di molte delle sequenze era Chema Rodríguez, centrale della Selezione Spagnola, e il conferenziere si prodigava in elogi sul suo gioco d’attacco; era, secondo la sua opinione, il gioco del futuro, un esempio da seguire. A me, chiaro, piace come gioca Chema, lo osservo dall’età cadetti e non smette di progredire. Ugualmente mi piace il gioco di molti altri giocatori del nostro paese e so che sono tra i migliori nel mondo, lì stanno vincendo un buon mucchio di Coppe Europee nelle differenti competizioni, varie medaglie della Selezione e la ciliegina del Campionato del Mondo, affinché non ci siano dubbi. Ma in questo congresso di Lisbona il mio ego nazionalista uscì traboccante: “Cammina, la legge, se ora siamo i Grandi Maestri Spagnoli”
Lavorando e studiando giorno per giorno, osservando gli altri per tentare di continuare ad imparare, non mi resi conto che gli altri ci guardavano anche e che, finalmente, quello che si faceva qui era degno di ammirazione per molti fuori dalle nostre frontiere. So che molti giovani non mi arriveranno a comprendere, perché loro arrivarono quando “eravamo già buoni”. È come i bambini di famiglia bene: tutto sembra loro normale, solo quelli che sono cresciuti nell’indigenza apprezzano il valore delle comodità casalinghe, se riescono ad ottenerle.
Tuttavia, il mio spirito critico non si accontenta: Ci sono cose che facciamo molto bene e dobbiamo valutarle adeguatamente, ma non dobbiamo fermarci con lo sguardo rivolto all’ombelico; per continuare a progredire è necessario che riflettiamo anche sulle nostre carenze. Dove stanno i nostri punti deboli? Quali cose dobbiamo continuare ad imparare da “gli altri?”
Ve lo dico in un’altra forma: Credo che siamo sufficientemente buoni – lì stanno i risultati per dissipare i dubbi – ma potremmo essere migliori, e se non aumentiamo l’esigenza rispetto ai giocatori che stanno attualmente nel periodo di formazione, è possibile che i prossimi anni ci sembreranno lontani quelli di adesso, nonostante abbiamo grandi virtù, ci guardano umilmente e prendono nota delle nostre.
Questo articolo è una riflessione sul gioco d’attacco posizionale ed in questo tento di spiegare come ho visto l’evoluzione dei giocatori spagnoli in tutto questo lungo periodo di tempo, i punti forti acquisiti e che hanno fatto di questi giocatori competitivi al più alto livello, ma anche quello che è rimasto durante il tragitto, gli aspetti dove presentiamo più carenze, le cose che potrebbero renderci migliori e dove, secondo la mia opinione, la maggior parte dei nostri giocatori tuttavia non si districa con molta destrezza.
-
Formare giocatori per l’attacco posizionale
-
Formare giocatori pericolosi
Attualmente è meglio che non entri in guerra se non hai bombe atomiche. Puoi andare all’Accademia Militare e convertirti in uno stratega sottile, in una volpe sibillina, questo ti varrà per camminare a casa, ma se vuoi andare al Campionato del Mondo di “Guerre”, cioè, se ti vuoi picchiare con gli U.S.A, con la Russia, con la Cina, con la Gran Bretagna, con la Francia… è meglio che prima ti fabbrichi alcune bombe atomiche e dopo vedremo.
A volte gli allenatori, quando pensiamo all’attacco, ci ossessioniamo tanto con le strategie che ci dimentichiamo che la nostra missione è doppia: oltre a coordinare i giocatori per attaccare come conviene, il nostro lavoro consiste nel formare giocatori poderosi che, di per se stessi suppongano un pericolo per la difesa avversaria, che abbiano capacità a fare gol non appena gli si presenta il minimo spiraglio. Siamo generali, ma anche fabbricanti di armi. Forse quest’ultimo aspetto è quello che più abbiamo sviluppato in Spagna e quello che ci ha aiutati ad ottenere buoni risultati nelle grandi competizioni nel corso degli ultimi anni. Non so se qualcuno dubiterà della capacità tattica offensiva dei nostri giocatori di primo livello, ma quello di cui sono sicuro è che nessuno dubita del loro potere offensivo individuale. Masip, Entrerrios, Garralda, Urdiales, Demetrio Lozano, Guijosa, Iker Romero… e molti altri sono il prototipo di quello che sto tentando di spiegare: la capacità di fare gol senza che debbano avere condizioni molto favorevoli, a volte perfino in situazioni chiaramente difficili.
Qual è la base di questa capacità? Per me, la pericolosità di un giocatore in attacco risiede in due questioni:
- La qualità del tiro
- La capacità di conquistare per sé stesso circostanze di tiro
Passo ad analizzarli sommariamente.
-
La qualità del tiro
Che cosa è un tiro di qualità? Forse uno molto forte e molto ben piazzato? L’efficacia dipende, inoltre, da altri fattori?
Farò un ripasso rapido per questo punto – del quale si potrebbe parlare largamente – poiché è un tema che ho trattato in profondità in altre occasioni.
Per me la capacità di tirare potente e preciso è una capacità fondamentale per qualunque giocatore. Lo sviluppo della Potenza e della Precisione di tiro sta alla base dell’aumento della capacità di tiro e costituisce quello che io chiamo “Tecnica di Base del Tiro”.
Tuttavia, nella pallamano attuale questo non segna differenze – tutti hanno giocatori che tirano molto forte e molto preciso – per stare con i migliori è necessario lavorare su altri fattori d’efficacia. In concreto, io credo che ci siano tre aspetti da sviluppare: La Varietà, l’Osservazione e la Sorpresa.
Quando parlo di Varietà mi riferisco a:
- Varietà nella localizzazione del tiro (dove va il pallone).
- Varietà nella forma di tiro (come si esegue).
- Varietà al momento dell’esecuzione.
Nonostante, variare per variare non è un fattore d’efficacia in sé stesso; la pallamano è una lotta interattiva, quando qualcuno tira sono altri che devono opporsi al tiro – portiere e giocatori di campo rivali – ed in questa lotta, colui che sa trarre conclusioni dall’agire dei suoi avversari aumenta la propria efficacia. La capacità di osservare acquisisce un peso specifico importante nel rendimento ed è, pertanto, una qualità da sviluppare.
Ma ritorniamo alla varietà: senza entrare nell’analisi di ognuna di queste tre forme del variare – poiché non pretendo fare qui uno studio dettagliato del tiro – sicché voglio sottolineare che i due punti iniziali (la localizzazione e la forma del tiro), segnano rispettivamente il fine e l’origine degli stessi, cioè, definiscono la traiettoria dei tiri tesi e, in qualsiasi caso, condizionano la traiettoria di qualunque tipo di tiro (parabolici, “girelle”, etc.).
Perché la traiettoria con la quale il pallone arriva in porta è importante? Facciamo una riflessione. Quanto sono capaci i portieri – ed i difensori in generale – d’intervenire efficacemente su palloni che vanno ad una velocità superiore a qualunque velocità di risposta valutata in un essere umano? Sappiamo già la soluzione: ANTICIPO.
Realmente i portieri ed i difensori si basano sugli indizi precedenti al tiro per adattare la loro risposta. Quando il pallone segue una traiettoria prevedibile, cioè, se il pallone va nella direzione che il gesto del tiro sembra indicare, il portiere ed i difensori vedono molto facilitato il loro lavoro. Per dirlo in altro modo ma accessibile ai giocatori, questi devono imparare che “i palloni retti” sono più facili da parare che bisogna imparare a tirare “dall’alto in basso”, o dal “basso verso l’alto”, o incrociato da “destra a sinistra” o da “sinistra a destra” e, generalizzando, “che la palla non vada sempre dove va la mano”, ed evidenzio quel sempre perché sarebbe anche dannoso, e prevedibile, tirare solamente “incrociato”. Generalizzando questo argomento è facile dedurre che la sorpresa è un importante fattore di efficacia. Ogni volta che il risultato del tiro non è quello che gli indizi sembravano segnalare, l’intervento dei portieri e del resto dei difensori si vede enormemente ostacolato. Bisogna sottolineare, tuttavia, che la sorpresa nel tiro non si ottiene da sola per l’utilizzo sagace della varietà in tutte le sue forme. Ci sono altre strade per raggiungerla e devono essere anche sfruttate.
Mi riferisco concretamente a due:
- L’inganno
- La diminuzione del tempo e dei gesti nell’esecuzione.
Tutto quello che supponga diminuire l’informazione che gli avversari riceveranno o fornire un’informazione confusa, o ancor di più falsa, complica le possibilità di controllo del tiro da parte degli avversari.
Questi tre fattori, la varietà, l’osservazione e la sorpresa, costituiscono il nucleo di quello che io chiamo la “Tecnica –Tattica Evoluta del Tiro” che sarebbe inutile se non contassimo su una buona “Tecnica di Base”. Riassumendo, abbiamo cinque fattori che influenzano l’efficacia del tiro: La Potenza, la Precisione, la Varietà, l’Osservazione e la Sorpresa.
Vuol dire questo che, un tiro di qualità deve avere molto di ognuno di questi cinque fattori? Realmente no. Possono essere tiri con molta poca potenza o con molta poca sorpresa, per esempio, e tuttavia con una grande qualità. Quello che bisogna ottenere è un miscuglio adeguato di tutto questo. In un determinato momento un tiro esplosivo e preciso è un argomento sufficiente per spezzare l’opposizione dei difensori e del portiere, benché fosse eseguito così come s’aspettavano i rivali e non supponesse nessuna sorpresa. A volte si trova la soluzione in un tiro a parabola (pallonetto), quasi senza forza e al centro della porta, davanti a, per esempio, un’uscita del portiere, basandosi fondamentalmente sull’osservazione. Ed altre con il portiere tra i pali e quasi senza spazi per tirare, si risolve il problema, senza necessità di dare mano alla potenza, con un “forte – floscio” o in una “girella” (tiro ad effetto), ricorrendo soprattutto alla sorpresa.
Quello che non può essere efficace è un tiro “che non ha niente”. L’assenza o la scarsità di uno di questi cinque fattori deve compensarsi con l’aumento della presenza degli altri. Quando questo equilibrio si rompe è quando appaiono tiri di poca qualità e nessuna efficacia. Nell’allenamento per aumentare la capacità di tiro dobbiamo lavorare sull’utilizzo di risorse relazionate con questi cinque fattori, partendo sempre dalla cosa basilare: la capacità che devono avere tutti i giocatori di tirare potente e preciso, ed aggiungendo risorse relazionate con gli altri tre fattori man mano che si evolve. Ma soprattutto bisogna insegnare a porre l’accento nel posto che le circostanze richiedono.
-
La conquista di circostanze per tirare
“Nella pallamano i tiri si eseguono con le mani ma si guadagnano con i piedi”.
È una frase che ho ripetuto molte volte ai giocatori che hanno dovuto sopportarmi. È una forma di riassumere l’idea che non basta avere qualità di tiro, bisogna sapersi muovere “nella battaglia” per conquistare le circostanze che permettono al giocatore di effettuare un tiro con certe garanzie di successo. Ma “circostanze di tiro” è un’espressione ambigua e, nonostante il tono colloquiale di questo articolo, mi piacerebbe essere preciso; quando parlo di circostanze di tiro, voglio dire che bisogna lottare per:
- Arrivare ad una buona posizione (un buon posto),
- Avere una buona posizione corporale al momento del tiro,
- Eludere il massimo possibile l’opposizione dei difensori.
E colui che non è buono in questa lotta non è pericoloso nel gioco d’attacco per quanto abbia un braccio eccezionale. Credo sia comunque necessario differenziare alcuni aspetti di questa “Lotta per la conquista delle circostanze di tiro” perché non tutti i giocatori dominano le differenti possibilità.
A. La capacità di penetrazione in possesso della palla
Per penetrare con il pallone sotto controllo necessitano solo due opzioni, o si sfrutta qualche spazio che si crea o si possiede una buona capacità di finta. E sono capacità distinte che dobbiamo sviluppare nei giocatori in forma metodica. Sull’utilizzazione degli spazi che appaiono senza che uno li provochi, parlerò più avanti, poiché questo è più relazionato con la capacità di coordinarsi con i compagni che con l’efficacia individuale.
PENETRARE IN POSSESSO PALLA
B. La capacità di conquistare spazi prima di ricevere il pallone
Mi riferisco alla capacità di smarcarsi dei giocatori, al gioco offensivo senza palla, tanto importante e a volte tanto dimenticato. È abbastanza comune non pensare al tiro fintanto che non si la palla nelle mani, ma quando la palla arriva il giocatore si converte nel centro di attenzione e tutto è più difficile, lavorare senza palla è una delle caratteristiche dei giocatori che sono realmente pericolosi nell’attacco posizionale.
PENETRARE SENZA PALLA: SMARCARSI
C. La conquista della “Distanza di Tiro”
“La maggior parte delle azioni di tiro avvengono con opposizione difensiva diretta, con percentuali superiori al 60 %”, ci dice Juan Antón nel suo studio su “Il Modello di Gioco nell’Alto Livello nella Pallamano del 2005”, edito recentemente in “AREA DE BALONMANO”; questo ci dà un’idea dell’importanza che ha il tiro con opposizione nel gioco attuale.
CONQUISTARE “DISTANZE DI TIRO”
Ma per essere efficace in questo tipo di azioni, oltre all’imprescindibile qualità del tiro, è necessario possedere la capacità di conquistare un’adeguata “distanza di tiro”.
Qual è questa distanza di tiro? Potrebbero dirmi alcuni.
Bene, io la definisco come: “Una distanza sufficientemente profonda per essere efficace, ma sufficientemente lontana dal difensore per non essere attaccato dallo stesso”.
So già che questo è un po’ ambiguo, ma credo che si possa capire: ci sono giocatori che si allontanano tanto dai difensori e finiscono col tirare da una distanza tanto lunga che diminuisce la loro efficacia. Al contrario, ci sono altri che nella loro lotta per arrivare vicino alla porta, non controllano il proprio movimento e finiscono per “consegnarsi” ai difensori e facilitando di fatto il loro compito. Penso che la virtù stia in mezzo. È come la lotta dei toreri con il toro, devono avvicinarsi il più possibile e contemporaneamente evitare di essere presi.
Attualmente i migliori giocatori perfezionano tanto che riescono perfino ad essere efficaci a contatto con i difensori, evitando di essere vicini mediante l’anticipo gestuale nei movimenti finali di tronco e braccia.
Ho differenziato questi tre aspetti della lotta perché non è frequente che un giocatore normale sia buono nei tre. Ci sono giocatori che fintano molto bene ma senza la palla nelle mani non fanno niente, o sono incapaci di conquistare una situazione buona per tirare con opposizione. Al contrario succede anche che ci sono giocatori molto efficaci al tiro dalla distanza ma con scarsa capacità di penetrazione. Nella pallamano di alto livello qualunque carenza in questo senso è facilmente sfruttabile dagli avversari. Dicevo che si sarebbe parlato di quello che credo che siano le virtù ed i difetti tipici dei giocatori spagnoli di massimo livello – ci sono come sempre eccezioni in un senso e nell’altro. Bene, incominciamo con le virtù che sono sempre più gradevoli.
Il prototipo di giocatore spagnolo di alto livello – per farsi un’idea pensiamo ad Entrerrios, Iker, Garralda, Lozano… – hanno fatto i loro doveri molto bene in tutto quello che ho scritto fino ad ora. Possiamo dire che contiamo su giocatori molto pericolosi nell’attacco posizionale. O se non ci pensi:
- Hanno qualità di tiro, non solo perché, ovviamente, tirano potente e preciso, bensì perché variano, osservano, sorprendono con l’inganno e con la velocità d’esecuzione (pochi passi, pochi gesti).
- Conquistano con facilità la “distanzia di tiro” per il gioco a distanza, ma molte altre volte sono efficaci perfino con opposizione diretta dei difensori (a contatto).
- Hanno anche capacità di penetrazione con finte e smarcamenti.
Infine, credo che rispetto alla capacità di creare loro stessi pericolosi non hanno molte cose da invidiare ai giocatori di altri paesi. Prima non avevamo giocatori così, almeno non tanti, mi riferisco agli anni 70 e 80, e chiaro, non vincevamo niente. Ma se riflettiamo, ci renderemo conto che neanche i grandi giocatori internazionali di quell’epoca erano così, pensiamo a Gruia, Birtalán, Maximov… erano grandi tiratori ma molto più “ortodossi” dei giocatori attuali, e neanche le difese erano come adesso. Siamo cresciuti imitando questo tipo di giocatori, ma contemporaneamente ci siamo adattati a quello che avevamo di fronte, il risultato è stato che i giocatori più versatili, sono stati capaci di adattarsi e scagliare un tiro da gol in situazioni che prima sarebbero state interpretate come impossibili. Giocatori con molta più varietà nell’esecuzione e molto meno prevedibili. Indubbiamente, questa evoluzione non si è avuta solo in Spagna, ma questa volta gli spagnoli non sono rimasti indietro imitando, ma partecipando come protagonisti apportando il loro granello di sabbia. Si è iniziato a forzare tiri in situazioni fino ad allora inverosimili ed a poco a poco, tutto il mondo è riuscito a “tirar fuori il petrolio”, da questo tipo di situazioni, ogni volta con maggiore audacia. L’importante è che lavorando e competendo, quasi senza rendercene conto, siamo cresciuti ed entrati di diritto proprio nei posti che danno accesso alla disputa di qualsiasi campionato. Ma la pallamano è uno sport di gruppo, se rimanessimo solo allo sviluppo delle capacità individuali, staremmo perdendo gran parte delle possibilità del gioco. Fare una buona squadra offensiva è ottenere che il pericolo totale dell’attacco sia maggiore di molto alla somma delle opzioni individuali dei singoli giocatori.
Indossa una divisa, ex atleta di discreto livello. Tantissimi campionati di Serie A2 e uno di Serie A1 a Enna. Allenatore di diverse formazioni in Sicilia. Allenatore di 3° livello , formatore FIGH, ama aggiornarsi come confermato dalla costante presenza a corsi di aggiornamento, in Italia e all’estero. Referente per l’Italia del corso “Analisi del gioco nella Pallamano” del Prof. Oscàr Gutierrez.